Il papà
Il ruolo del papà non è stato trattato tanto quanto quello della madre, soprattutto in psicologia.
Prima dell'ultima guerra in Italia, il padre rappresentava più che altro la figura di sostentamento economico della famiglia: era l'uomo che lavorava e che portava i soldi a casa e, perciò, era rispettato e quasi venerato.
Dopo la guerra, la popolazione maschile ne uscì decimata, la vita era difficile per tutti e difficile diventava per i padri di allora svolgere il loro ruolo di sostentamento economico.
Da qui nasce pian piano il mito del padre assente, conseguente ad una svalutazione del suo ruolo. Questo mito è stato negli anni rinforzato da certe tendenze culturali e psicologiche, che hanno focalizzato molto l’attenzione sulla figura della madre.
Melanie Klein, per prima, basò tutta la sua metapsicologia sull’elaborazione del rapporto fra il bambino e il seno materno. In tempi più moderni, Bowlby ha studiato l’attaccamento fra bambino e madre ai fini della comprensione delle patologie psichiche, e Winnicott ha ribadito l’importanza della funzione materna parlando della madre sufficientemente buona come fondamentale nella crescita dell’uomo.
Il padre, insomma, è stato spesso escluso dalla discussione sul benessere psicologico dei figli, quasi che il suo apporto fosse fondamentale solo al momento del concepimento.
Se ci pensiamo, in effetti per il padre il collegamento fra l’atto della procreazione e il figlio non è biologicamente fondato, perché il padre non cresce il feto, non partorisce, non allatta il neonato, e via di seguito. Quindi, mentre il legame fra madre e figlio è fondamentale per la sopravvivenza del neonato, il legame fra padre e figlio non lo è e dev'essere costruito, in un certo senso, artificialmente. Per questo è un legame più fragile, la cui costruzione può essere facilmente trascurata.
Le statistiche sono abbastanza note ed esplicative: in caso di separazione o divorzio, quasi sempre i figli vengono assegnati alle madri dai giudici, con pochissimo spazio per i padri, che spesso possono vedere i figli una sera a settimana, o un weekend al mese, a seconda. Nelle separazioni familiari, quindi, il ruolo del padre è spesso il primo o il solo ad essere sacrificato, il che è dovuto, lo sottolineiamo di nuovo, alla sua fragilità.
Le statistiche sono abbastanza note ed esplicative: in caso di separazione o divorzio, quasi sempre i figli vengono assegnati alle madri dai giudici, con pochissimo spazio per i padri, che spesso possono vedere i figli una sera a settimana, o un weekend al mese, a seconda. Nelle separazioni familiari, quindi, il ruolo del padre è spesso il primo o il solo ad essere sacrificato, il che è dovuto, lo sottolineiamo di nuovo, alla sua fragilità.
Gli studi moderni rivalutano il ruolo del padre sin dalla nascita (a volte perfino durante la gestazione) giacché il padre influenza il clima familiare e incide sul benessere psicologico della madre. E' riconosciuto il ruolo del padre anche nella fase di allattamento in quanto è lui che conferisce per primo sostegno emotivo alla propria compagna e contribuisce ad un clima familiare armonioso e propizio per un accudimento positivo.
Il padre non è semplicemente la luce che illumina la diade madre-bambino ma è, assieme a loro, l'essenza di un quadro in cui ogni singola parte ha senso solo in relazione alle altre.
A questo punto è interessante domandarsi se esista un istinto paterno o se la paternità sia un apprendimento successivo che insorge con la genitorialità e che si acquisisce con la cultura di appartenenza.
Non c'è purtroppo una risposta chiara e univoca a questo quesito: alcune ricerche confermano la presenza di un istinto paterno, altre no; così come ci sono pensieri contrastanti tra diversi autori.
Occorre secondo me differenziare tra i due concetti di “ruolo paterno” e di “funzione paterna”.
“Mentre il ruolo è definito da un contesto sociale e culturale determinante, la funzione, pur influenzata da fattori sociali nel suo espletarsi, […] è ciò che il padre sente di dover fare, è la sua risposta emotiva ai bisogni del figlio, è la disposizione interiore precedente all’esperienza, che tuttavia si attiva nell’esperienza. La funzione paterna è precedente all’esperienza e al ruolo, anche se normalmente si attiva in ambedue” (Brustia Rutto P., 1996 pg. 24).
Cosa accade quando un padre acquisisce un atteggiamento distanziante o rifiutante?
Le ricerche dimostrano che buona parte delle difficoltà relazionali ritrovano una connessione con una distanza affettiva dal padre, talora un rifiuto.
Interessante è un articolo pubblicato nel 2012 dalla rivista State of mind nella quale si espongono i risultati di ricerche focalizzate sul rapporto padre figlio e sui loro effetti.
Ronald Rohner e Abdul Khaleque, analizzando 36 studi in cui sono stati coinvolti più di 10.000 soggetti provenienti da tutto il mondo, hanno scoperto che i bambini, in risposta al rifiuto da parte dei genitori, non solo tendono a sentirsi più ansiosi e insicuri, ma risultano anche più ostili e aggressivi nei confronti degli altri. Il dolore del rifiuto tende a ripresentarsi in età adulta, rendendo più difficile instaurare relazioni sicure e fiduciose con i loro partner.
I risultati di ricerche svolte nell'ultimo decennio in psicologia e in neuroscienze rivelano che le parti del cervello che vengono attivate quando le persone si sentono respinte sono le stesse che si attivano durante l’esperienza del dolore fisico. Rohner afferma: “A differenza del dolore fisico, le persone possono psicologicamente rivivere il dolore emotivo del rifiuto più e più volte per anni”.
Quando si tratta l’argomento dell’impatto dell’amore di un padre rispetto a quello di una madre, i risultati provenienti da più di 500 studi suggeriscono che i bambini sperimentano l’influenza del rifiuto da parte del padre come superiore rispetto a quello della madre.
Un team di psicologi, provenienti da 13 nazioni che lavorano all’International Father Acceptance Rejection Project, ha sviluppato una spiegazione di questa differenza: i bambini e i giovani adulti tendono a fare maggiore attenzione a qualsiasi genitore che percepiscono avere una maggiore potenza interpersonale o di prestigio. Solitamente questo ruolo è relegato alla figura paterna, che da sempre svolge un ruolo fondamentale all’interno della famiglia. Non a caso tra i latini veniva annoverato col termine di Pater familias, inteso come il capo indiscusso di tutto il clan (parentado), a lui erano sottomessi la moglie, i figli, gli schiavi, le nuore. Su tutti aveva la patria potestas, potere che conservava vita naturale durante e che comportava amplissime facoltà insieme ad un potere punitivo che si estendeva fino al diritto di vita o di morte. Quindi, se un bambino percepisce suo padre come colui che ha maggior prestigio allora sarà proprio lui ad avere maggiore influenza nella vita del bambino, più di quanto potrebbe averne la madre.
Questa ricerche dimostrano la necessità di un coinvolgimento dei padri nella crescita della prole, riducendo, peraltro la tendenza molto radicata a colpevolizzare la madre nei casi di disagi comportamentali e di disadattamento infantile.
Inoltre va anche sottolineato come il padre è colui che simbolicamente rappresenta – entro il sistema famiglia- colui che istituisce le regole e dunque rappresenta l’istanza Morale . Freud parlava di Super Io ovvero di imperativo morale. Questa Istanza o codice morale è la base per la coscienza etico–sociale che guida il comportamento e sostanzia le relazioni interpersonali.
La tendenza attuale sembra quasi delegare questa funzione alla scuola o alle istituzioni terze mentre la figura paterna si spoglia di questo ruolo. Questo non significa attribuire al padre una funzione autoritaria e punitiva depauperando il ruolo paterno della dimensione affettiva. Piuttosto significa valorizzare il ruolo paterno assegnando il principale messaggio di guida nel mondo sociale.
Alcuni padri dimostrano notevoli capacità di provvedere anche a figli molto piccoli. Recenti studi dimostrano che i bambini che interagivano con i padri sin dal terzo mese , mostravano minori problemi comportamentali ad un anno di età rispetto a quei bambini che avevano padri più distanzianti. Questa connessione pareva più significativa per i piccoli maschi rispetto alle femmine, suggerendo che probabilmente i maschi sarebbero più sensibili alle modalità interattive del padre già a partire da pochi mesi di vita.
Le ipotesi generate da questi studi suppongono che possa trattarsi di una generale deprivazione attentiva e di accudimento a generare i disturbi del comportamento; oppure il comportamento problematico del bambino rappresenti il tentativo di sollecitare una reazione genitoriale come risposta alla mancanza di coinvolgimento del padre nell'interazione con il piccolo.
Questa crescente consapevolezza avvalorata dalle ricerche sopra riportate, sostengono la formazione del cosiddetto “padre partecipante”, cioè colui che si allontana dalla figura di padre padrone per creare con i figli una relazione fondata sull'affettività e sulla condivisione.
Questa crescente consapevolezza avvalorata dalle ricerche sopra riportate, sostengono la formazione del cosiddetto “padre partecipante”, cioè colui che si allontana dalla figura di padre padrone per creare con i figli una relazione fondata sull'affettività e sulla condivisione.
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